I disturbi del comportamento alimentare, quali anoressia e bulimia, si insediano nel conflitto tra desiderio di avere un'immagine desiderabile, associata alla magrezza e desiderio di mangiare.
Tendenzialmente nell'anoressia si prova a mangiare pochissimo, poi subentra la difficoltà a sostenere un regime alimentare così rigido e si transita nella bulimia.
La bulimia se da un lato rappresenta la sconfitta dell'anoressia, della sua volontà più ostinata, dall'altro offre al soggetto la possibilità di riconciliarsi con se stesso, perchè non è più chiamato a scegliere tra l'ideale di magrezza e il cibo. Non deve rinunciare a uno o all'altro. Può averli entrambi.
Tuttavia, il senso dell'ideale di magrezza si dovrebbe ricercare anche più in profondità, scavando al di là della desiderabilità.
La magrezza infatti, è divenuta un ideale non solo perché è associata alla bellezza e alla desiderabilità. La magrezza conserva dentro di sè una traccia di innocenza, di virtù morale, di assenza di peccato. Al tempo stesso, il rifiuto del grasso non è connesso solo all'aspetto sgradevole. Sul grasso incombe la colpa, la colpa dell'ingordigia. La colpa di non riuscire a tenere a freno la propria golosità.
Il rifiuto del grasso si è sedimentato così profondamente dentro di noi, non solo perché ci rende indesiderabili, ma perché ci rende colpevoli.
Con il supporto psicologico è possibile dare uno spazio di ascolto al soggetto, fargli percepire che esiste al di là del suo peso e del suo corpo. Aiutarlo a metterlo in contatto con le sue emozioni, dar voce a quelle emozioni.
È inoltre possibile comprendere i significati del cibo. Come esso può divenire indispensabile proprio per quello che rappresenta: un riempitivo nella bulimia, qualcosa che riempie fino a non lasciare spazio a pensieri ed emozioni dolorose, e uno strumento di potere nell' anoressia, quel che serve a dimostrare la propria volontà e la propria tenacia a dispetto di qualsiasi bisogno, persino della fame più insopportabile.